Università e Enti di ricerca

Università e Enti di ricerca

A cura di Gianni Dal Maso, Professore Ordinario di Analisi Matematica presso la SISSA (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati), Trieste

 

Il personale scientifico delle università ha il duplice compito di contribuire al progresso della propria disciplina (attività di ricerca) e di trasmettere alle nuove generazioni le proprie conoscenze scientifiche (attività didattica).

Rispetto alle altre scienze, la matematica ha una particolarità. Poiché la verifica dei suoi risultati si basa sul metodo assiomatico-deduttivo, essi hanno validità perenne: non corrono il rischio di essere soppiantati da nuove scoperte. Pur essendoci un’evoluzione nel tempo sia del modo in cui i matematici affrontano i problemi, sia dell’importanza attribuita ai vari risultati, il progresso della matematica è cumulativo: nessun risultato precedente verrà mai annullato da un risultato successivo, tutt’al più esso sarà visto in una luce diversa.

Potrà quindi apparire sorprendente che, dopo più di due millenni di sviluppo della matematica, ci sia ancora qualcosa di nuovo da studiare in questo campo. Eppure vi sono diversi problemi matematici formulati nel passato che ancora attendono una soluzione e molti problemi nuovi, anche di notevole interesse teorico, provengono dalle sempre più frequenti applicazioni della matematica allo studio della realtà naturale o dei prodotti dell’attività umana.

Un esempio piuttosto noto di quanto appena affermato, che ha avuto una certa risonanza anche presso il pubblico dei non addetti ai lavori, è la dimostrazione da parte di Andrew Wiles dell’ultimo teorema di Fermat, che aveva rappresentato una sfida per le migliori menti matematiche fin dal 1637. È interessante notare come tale dimostrazione, completata nel 1994, utilizzi strumenti provenienti da rami della matematica molto lontani tra loro ed apparentemente non collegati al problema. È un caso non infrequente che per risolvere un problema difficile in un campo della matematica si debba ricorrere a tecniche proprie di campi diversi, mostrando come un’eccessiva specializzazione possa essere di ostacolo al progresso della matematica.

 

1. Alcuni aspetti della ricerca in matematica

 

L’attività di ricerca in matematica consiste essenzialmente nello sviluppo di teorie e tecniche nuove per affrontare problemi matematici non ancora risolti. Tra i ricercatori, come in varie altre attività, sussiste una sorta di divisione del lavoro, seppure informale. I giovani all’inizio della loro carriera dedicano i loro sforzi alla dimostrazione di una congettura o alla soluzione di un problema individuato dai ricercatori con maggiore esperienza. Questi ultimi hanno anche la responsabilità di indicare la direzione da seguire.

È proprio la formulazione delle congetture che si rivela la parte più delicata del lavoro del matematico che guida un gruppo di ricerca. Si tratta, in sostanza, di individuare un enunciato plausibile la cui dimostrazione, o confutazione, risulti interessante per far luce su un problema o, nel caso di congetture importanti, su un intero ramo della matematica. È questo, ad esempio, il caso della celebre congettura di Poincaré, che aveva resistito a tutti i tentativi di dimostrazione a partire dalla sua formulazione nel 1904 e che è stata risolta da Grigori Perel’man nel 2003. La congettura di Poincaré figurava nella lista dei sette Millennium Problems – formulati nel maggio 2000 dal Clay Mathematics Institute, per la soluzione di ciascuno dei quali è stato offerto un premio da un milione di dollari – che di fatto orientano la ricerca matematica odierna.

Per quanto riguarda i problemi indagati, alcuni devono la loro importanza al fatto che chiariscono le proprietà di certe strutture matematiche, e quindi la loro soluzione permette di ottenere nuovi risultati in qualche ramo della matematica. Altri problemi invece sono importanti in vista delle loro applicazioni ad altre scienze.

Nel primo caso si parla di matematica pura, nel secondo di matematica applicata. Va comunque osservato che questa distinzione è a volte alquanto artificiale, visto che diverse tecniche sviluppate in passato per pura curiosità intellettuale, allo scopo di chiarire le proprietà di strutture matematiche astratte, si sono poi dimostrate indispensabili nello studio di problemi concreti di altre scienze.

Il più importante problema oggi aperto in matematica pura è, a giudizio di molti ricercatori, la famosa ipotesi di Riemann, che riguarda i punti in cui si annulla un’importante funzione definita nel campo dei numeri complessi. Questa congettura, formulata nel 1859 e tuttora non dimostrata, rientra anch’essa tra i 7 problemi proposti dal Clay Mathematics Institute. La sua importanza è dovuta al fatto che la dimostrazione dell’ipotesi di Riemann aprirebbe la strada alla risoluzione di moltissimi problemi di teoria dei numeri riguardanti la distribuzione dei numeri primi.

Riguardo alla matematica applicata, è opportuno chiarire un equivoco. Essa non va confusa con il semplice utilizzo di tecniche matematiche ben note per risolvere problemi nuovi di interesse concreto. In questo caso si può solo parlare di utili applicazioni della matematica, che non portano a diretti progressi della matematica, bensì all’avanzamento dei campi cui appartengono i problemi che vengono risolti. Oggi i campi di applicazione della matematica sono i più vari: si va dalle applicazioni tradizionali alla fisica, alla chimica, all’ingegneria, all’economia, all’informatica, ad applicazioni nuove nell’ambito della biologia e della medicina.

La ricerca in matematica applicata consiste invece nello sviluppo di tecniche matematiche originali per descrivere e comprendere problemi concreti che non potevano essere affrontati con successo usando soltanto le tecniche già note.

Una prima fase di queste ricerche consiste nella creazione di un modello matematico per la descrizione (di alcuni aspetti) del problema in esame. Poi viene lo studio delle proprietà matematiche del modello, che può portare, nei casi più interessanti, ad indagare su questioni matematiche molto profonde. Una volta capiti gli aspetti matematici del modello, si passa alla simulazione del problema concreto a partire dal modello, calcolando (anche solo in maniera approssimata) i risultati previsti dal modello al variare dei dati del problema. Da ultimo si confrontano i risultati delle simulazioni con i risultati sperimentali, per verificare che il modello sia adeguato.

 

2. Competenze richieste

 

Il personale scientifico delle Università ha il duplice compito di contribuire al progresso della propria disciplina (attività di ricerca) e di trasmettere alle nuove generazioni le proprie conoscenze scientifiche (attività didattica).

Nelle università più prestigiose, in Italia e all’estero, l’attività di ricerca è sempre stata considerata di maggiore importanza rispetto all’attività didattica, in base all’idea che chi abbia dato prova di capacità come ricercatore, ottenendo risultati originali, si dimostrerà anche più efficace nel trasmettere agli allievi le sue competenze.

I matematici non fanno eccezione. Compito principale per quanti praticano la matematica in ambito universitario è contribuire allo sviluppo del ramo della disciplina di cui si occupano. Si tratta di un’attività creativa e stimolante, che offre molte soddisfazioni sul piano intellettuale e richiede in cambio un grande impegno.

Il primo requisito per svolgere attività di ricerca in matematica è una formidabile passione per i ragionamenti matematici e per la soluzione dei problemi matematici, che di solito si manifesta già prima degli studi universitari, quando, ad esempio con lo studio della geometria euclidea, si entra in contatto con argomentazioni deduttive rigorose e si comincia a mettere alla prova la propria fantasia matematica con la soluzione di semplici problemi geometrici.

Per avere successo nella ricerca in matematica occorrono in egual misura profonde doti d’intuizione e forti capacità logico-deduttive. Per affrontare un problema difficile occorre esercitare la propria fantasia per escogitare le possibili linee di risoluzione, e l’esperienza acquisita ripercorrendo le soluzioni dei problemi del passato deve essere usata per immaginare le vie da seguire per il problema su cui si sta lavorando. È questa la fase più creativa del lavoro del matematico, quella che dà le maggiori soddisfazioni.

Le capacità deduttive intervengono poi nel lavoro più tecnico di sistemazione della linea di dimostrazione scelta, che a volte è costituita da argomentazioni logiche molto lunghe e complesse. Questa seconda fase, che spesso è più lunga della precedente, richiede doti di rigore, disciplina e tenacia.

Se all’inizio della carriera accademica può bastare l’abilità tecnica nella risoluzione di problemi giudicati importanti dalla comunità scientifica, progredendo nella carriera occorre dimostrare anche la capacità di individuare gli obiettivi più significativi della ricerca scientifica nel proprio campo e di indicare vie ragionevoli per ottenerli. In altre parole, chi raggiunge i gradi superiori della carriera accademica deve essere in grado di formulare un progetto di ricerca che sia rilevante per il progresso della matematica e deve saper guidare l’attività di ricerca dei propri collaboratori.

 

3. Formazione e avviamento alla ricerca

 

Durante i propri studi universitari, chi ha intenzione di dedicarsi alla ricerca scientifica in matematica non può limitarsi ad uno studio passivo degli argomenti insegnati nei corsi. Deve comprenderli a fondo in maniera critica, facendosene un’idea personale, rendendosi conto del significato e dell’importanza dei vari concetti, ed acquisendo una certa familiarità con le varie tecniche di dimostrazione, che in futuro dovrà essere in grado di applicare a problemi nuovi.

Quando è possibile una scelta tra i corsi da seguire, è bene privilegiare quelli che forniscono i molteplici strumenti tecnici che sono indispensabili per l’attività di ricerca. Visto il notevole sviluppo raggiunto dalla matematica, per avere qualche possibilità di successo nello studio di un problema nuovo occorre infatti acquisire una certa familiarità con tutti i principali metodi sviluppati nei diversi rami di questa disciplina.

È bene acquisire una formazione di base molto ampia nel corso di laurea di primo livello ed evitare un’eccessiva specializzazione nel corso di laurea magistrale. Anche se, in generale, un ricercatore svolge la propria attività in un campo ben delimitato, gli strumenti che deve impiegare dipendono dal problema studiato, e non possono essere tutti determinati in anticipo. Non è raro il caso in cui si debbano utilizzare tecniche provenienti da campi della matematica apparentemente molto lontani dal problema.

Un passo obbligato per la carriera accademica è il dottorato di ricerca. È importante scegliere con cura l’ateneo in cui studiare per il dottorato. Ogni sede può offrire solo un numero limitato di gruppi di ricerca ad alto livello, e chi intende intraprendere gli studi per il dottorato deve essere disposto a lasciare l’università in cui ha conseguito la laurea per andare dove sia coltivato l’argomento su cui intende orientare la sua ricerca.

Il dottorato si può considerare come il periodo di apprendistato per il ricercatore. Oltre a studiare gli argomenti specialistici legati al tema scelto, il dottorando comincia a fare ricerca in prima persona, affrontando, con la guida del suo relatore, un problema matematico irrisolto che abbia attratto l’interesse della comunità scientifica internazionale. La tesi di dottorato consiste appunto nella soluzione di questo problema, che spesso richiede, come tappe intermedie, la soluzione di vari problemi ausiliari.

Dopo la discussione della tesi di dottorato, il primo passo nella carriera accademica è una posizione post dottorale presso qualche università o istituto di ricerca. Si tratta di un contratto, generalmente della durata di due o tre anni, per svolgere attività di ricerca retribuita (gli stipendi sono in generale migliori all’estero) su problematiche matematiche specifiche.

All’estero è regola non scritta, ma sempre rispettata, che l’attività post dottorale si svolga in un’università diversa da quella in cui si è conseguito il dottorato. Questo ha l’utile effetto di costringere l’aspirante ricercatore ad entrare in contatto con diversi ambienti scientifici, arricchendo così la propria esperienza, prima di essere assunto con una posizione permanente. È bene che chi vuole ottenere risultati brillanti segua questa regola, anche se non è ancora entrata del tutto nell’uso dell’ambiente accademico italiano.

Terminata l’esperienza post dottorale, si può considerare concluso il lungo ma stimolante processo di formazione, ed il giovane ricercatore, se ha talento e ha lavorato con impegno, ha conseguito a questo punto i risultati scientifici e l’esperienza che gli permettono di accedere alle selezioni per una posizione permanente in qualche dipartimento universitario in Italia o all'estero.