All'inizio degli anni novanta, mi ritrovai con una laurea in matematica in tasca e le idee poco chiare. Avevo lavorato sodo, in una sede difficile e prestigiosa come Pisa, ma mi sembrava di non saper fare nulla. La fortuna che a volte aiuta gli sprovveduti mi venne allora incontro, facendomi vincere una insperata borsa di studio per l'America. E così fui catapultato addirittura alla Nasa, chiuso in un ufficio di pochi metri a calcolare orbite di comete e asteroidi.

Un'esperienza di vita interessante, anche divertente, ma soprattutto illuminante: capii che la ricerca non faceva per me. E me ne tornai in Italia più confuso di prima. Arrivò allora il secondo aiuto della dea protettrice degli sprovveduti. Tramite un ex docente, venni a sapere che la casa editrice Bollati Boringhieri stava cercando un redattore; erano richiesti una laurea scientifica e una certa familiarità con la parola scritta. Sembrava il lavoro ideale per me: feci un paio di colloqui e fui assunto. 

Ero entrato in uno dei templi dell'editoria scientifica, avrei dovuto fare cose di cui non sapevo assolutamente nulla, ed ero felice. Affiancato da un redattore esperto e severo, che mi insegnava il mestiere come un artigiano con il garzone di bottega, in poco tempo imparai a districarmi (e oggi so di essere stato forse uno degli ultimi a beneficiare di questa formazione privilegiata).

Fare il redattore scientifico è una gran bella cosa, e lo è ancor di più in una casa editrice abbastanza piccola, dove ci si deve occupare un po' di tutto. Innanzitutto c'è il lavoro sul testo. Prima di diventare libro, quel che produce un autore ha bisogno sempre (sottolineo: sempre) di una serie di interventi, che vanno dal tecnico al creativo. C'è da uniformare lo stile alle convenzioni della casa, mettere a posto virgole e virgolette, verificare certe affermazioni, riscrivere periodi contorti; e poi pensare alle illustrazioni, sorvegliare i giri di bozze con le correzioni e le riscritture dell'autore: una tela di Penelope.

Ma la parte più interessante è forse quella che sta a monte: la creazione del catalogo. Il che significa proporre a un autore italiano di scrivere un certo saggio (e avere gli strumenti per sapere chi è l'esperto più adatto alla bisogna), frequentare fiere e agenti letterari, compulsare i cataloghi delle case straniere alla ricerca di titoli allettanti da tradurre, essere sempre aggiornati sulle novità scientifiche, e così via. La sensazione, esaltante, è quella di partecipare alla formazione della cultura nazionale.

In seguito sono passato a lavorare per un'altra casa torinese, l'Einaudi, dove ho imparato molto altro e ho allargato il mio raggio di azione a discipline diverse. Poi mi sono stufato della vita d'azienda e sono diventato libero professionista. Oggi la mia attività editoriale principale è la traduzione: ho venti volumi al mio attivo, tra i quali molti pesi massimi della saggistica scientifica, come Diamond, Greene, Pollan, Quammen e altri ancora.

Negli ultimi anni ho allargato il mio raggio d’azione ad attività come l’organizzazione di eventi e mostre. Insegno poi al Master in Comunicazione della scienza della Sissa, a Trieste, dove cerco di trasmettere ai miei brillanti allievi i trucchi della scrittura saggistica.

Ciò che ho imparato all'Università oggi mi serve, direttamente, a ben poco; ho dimenticato un sacco di cose, ma non me ne faccio un cruccio. Oltre alla capacità di orientarmi nel mondo scientifico, mi resta una certa impronta, un amore per la precisione e per le sfumature, un'attitudine a spaccare il capello in quattro, un'ostinazione a superare gli ostacoli che non posso non definire "matematica".