Mauro Bardelloni

Nella mia infanzia i giochi erano di due tipi: comprati/regalati o inventati da me. I secondi erano i primi smontati e ri-assemblati sotto altra forma. La ricetta: preso qualcosa che funzionasse, smontarlo per capirne il meccanismo; provare a riprodurre il gioco originale. Fantasia e curiosità mettevano quel tocco in più per creare giochi “nuovi”.

Credo di aver mantenuto lo schema mentale anche crescendo. Alle elementari e alle scuole medie mi era naturale semplificare e scomporre quello che mi veniva insegnato e, dopo averlo fatto mio, lo ricomponevo e lo restituivo il più semplice possibile, trovando nuove relazioni e strutture composte dai singoli pezzi.

Non mi sono mai ritenuto tra i più bravi, spesso mi sono trovato fuori dal coro. I programmi li sopportavo il giusto per tirare avanti mentre proficua era l’applicazione per le materie che premiavano l’intuizione, la creatività e la libertà sia nei contenuti che nei tempi.

Così al liceo ho flirtato con la matematica e la filosofia e, mentre i compagni si preparavano a successi in medicina, ingegneria o economia, io ho continuato il mio cammino nel mondo dei numeri accompagnato a un libro di filosofia.

Matematica a Brescia è stata molto positiva. L’università però aveva un numero di corsi che non consentiva di coprire i crediti richiesti; li integrai con quelli di fisica. La teoria quantistica e la teoria della relatività mi hanno fatto comprendere la potenza del formalismo matematico per capire la realtà anche quando l’esperienza dei sensi non è sufficiente.

Finita l’università ho superato il test per il dottorato in Analisi Matematica presso la SISSA.

A Trieste ho seguito i corsi di importanti professori di matematica e, mentre sorseggiavo birra, ho riempito tovaglioli di conti con i miei colleghi. Sono stati anni magnifici, ma una volta conseguito il dottorato non ero sicuro che la carriera accademica fosse la mia strada.

Spinto da un’altra delle mie passioni da sempre, quella per i computer, ho ottenuto una borsa per un master in High Performance Computing, in SISSA. Grazie a un docente che mi ha proposto una tesi in Fluido Dinamica Computazionale ho capito che gli anni spesi per la matematica teorica mi aprivano orizzonti sempre nuovi come ad esempio nel settore navale, al quale ho dedicato i successivi due anni di ricerca.

Nell'agosto 2016 le strade della vita mi hanno spinto a provare a rientrare nella mia città. In un periodo sicuramente non facile per trovare lavoro, il 31 agosto ho rinunciato alle ultime mensilità dell’assegno di ricerca a Trieste per firmare un nuovo contratto a Brescia il 1° Settembre.

Ora lavoro in un’azienda, la 3D Target, nata come rivenditrice di strumenti di misura quali laser scanner, termocamere, fotocamere 360. Da qualche anno si occupa di integrare questi sensori in strumentazioni più complesse come droni o sistemi di rilievo su quattro ruote sviluppando formazione e ricerca nel settore.

Ancora una volta, avere studiato matematica si è rivelato un punto di forza per accedere al mondo del lavoro. Mi occupo di studiare gli algoritmi per interpretare i dati ottenuti dagli strumenti di misura e molte volte nei codici che scrivo mi rifaccio a tecniche o idee della mia tesi di dottorato o a qualche dimostrazione costruttiva di teoremi di matematica pura.

Concludo con le parole di Ennio De Giorgi, uno dei maggiori matematici italiani della seconda metà del 900:

“Un altro aspetto, [...] un altro dei segreti della forza della matematica, è la libertà e la convivialità; il matematico ha una libertà che forse altri scienziati hanno meno o non hanno, pensare alle cose che lo interessano di più, scegliere gli argomenti che ritiene più belli e il modo che ritiene più bello di affrontarli [...]; dall’altro il matematico ama il dialogo con gli altri; risolvere un problema matematico senza avere un amico a cui esporre la soluzione e con cui discutere [...], significa di fatto perdere buona parte del gusto della matematica.”