Quando nel 2003 scelsi di iscrivermi a matematica, nel comunicarlo in diverse circostanze, ricordo principalmente tre tipi di reazioni (vicini ci metto i miei commenti):

1) “Ma sei matto? Guarda che matematica è difficile!” Grazie per l’incoraggiamento…

2) “Dai, ma allora sei un genio, come Einstein!” Be’, vedremo... (sorvolando sul fatto che Einstein fosse in realtà un fisico).

3) “Matematica? bello, quindi poi vai ad insegnare.”

“Sì, mi piacerebbe insegnare...”

“Be’, sì, che altro puoi fare con matematica?”

A parte la probabile somiglianza dei casi 1 e 2 (matto = genio?), concentriamoci sul punto 3. Sì, mi sono iscritto a matematica perché mi sarebbe piaciuto insegnare, specificatamente alle scuole superiori (quelle da cui ero appena uscito).

Pivetta

 

Le cose sono poi andate diversamente: dopo la laurea triennale (2006) e la magistrale (2008) anziché proseguire verso l’insegnamento ho scelto di iscrivermi alla scuola di dottorato in “Environmental and Industrial Fluid Mechanics”, presso l’università di Trieste (dove già avevo frequentato i precedenti studi universitari). Questa scelta è stata spinta dalla passione che era cresciuta avendo seguito il cosiddetto "Percorso Formativo Comune": un percorso di studi di eccellenza frutto di un accordo per la laurea magistrale tra l'università di Trieste e la Sissa (Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati).

Mentre ero dottorando mi sono occupato delle equazioni di Navier-Stokes, che descrivono teoricamente il moto di un fluido e in generale di equazioni differenziali alle derivate parziali.

Il dottorato è un’esperienza che arricchisce dal punto di vista culturale e personale mentre prepara alla carriera accademica. Durante la preparazione della tesi (discussa poi nell’aprile del 2013), mi sono però reso conto che la carriera accademica non rappresentava il futuro che volevo per me. Qui mi si è riproposta la domanda iniziale “Be’, sì, che altro puoi fare con matematica?”

Ho trovato risposta nell’esperienza diretta: nel 2012 sono stato assunto da Assicurazioni Generali per un ruolo di “Analista Quantitativo” all’interno di un team che si occupa di analisi finanziarie e stress test, posizione che ricopro tutt’ora. Lo ammetto: la parola quantitativo inizialmente mi sembrava vagamente svilente. È come quando, in pizzeria con gli amici, arriva il conto. Non c’è smartphone che tenga: le divisioni le fa il matematico. Era però una mia non corretta interpretazione della traduzione del termine inglese “Quant”. Al di là dell’interpretazione, ecco la mia esperienza.

L’aspetto matematico del ruolo che ricopro si riscontra in modi differenti: inizio col più classico.

In finanza diversi modelli matematici basati su equazioni differenziali vengono applicati alla valutazione di strumenti finanziari, principalmente obbligazioni e derivati. È dunque ovvio che conoscere e saper interpretare le teorie relative ai modelli usati nel “pricing” di questi strumenti è fondamentale per poter agire sia da un punto di vista di controllo che di eventuale miglioramento quando si riscontra una debolezza del modello. L’azienda mi ha permesso di crescere da questo punto di vista permettendomi di frequentare e conseguire il CQF (Certificate in Quantitative Finance).

Ciò di cui mi occupo principalmente consiste nel controllare che le implementazioni informatiche che applicano i modelli diano risultati coerenti con le attese: in casi specifici il controllo può essere puntuale sul prezzo di un singolo strumento, ma generalmente va effettuato su decine di migliaia di strumenti, rivalutati sotto migliaia di scenari. In questo caso si mette in risalto un altro aspetto del matematico, quello volto alla ricerca di un modo quanto più completo possibile di analizzare una grande mole di informazioni, aggregandole in classi coerenti rispetto ad una determinata proprietà o misura, in modo da rendere più facilmente individuabili eventuali errori.

Questa capacità non si impara in uno specifico corso, ma è appresa implicitamente durante gli studi, quando col tempo diventa naturale osservare ogni problema da quanti più punti di vista possibili, per trovare l’approccio che meglio degli altri porta alla soluzione.

La facilità nell’organizzazione dei concetti e l’attitudine alla ricerca di soluzioni ai problemi permette di gestire altri tipi di complessità: il lavoro in un’azienda è composto da molte attività diverse, ognuna delle quali, una volta diventati esperti, non è complicata di per sé. La complessità è rappresentata dalla necessità di intrecciare tante di queste attività, per assicurare che i processi aziendali reggano, rispettino le scadenze e che raggiungano possibilmente il massimo dell’efficienza, ad esempio individuando punti comuni di procedure diverse: ciò permette di amplificare le possibili sinergie, evitando la duplicazione delle attività.

Concludo con una precisazione: la mia passione iniziale è rimasta intatta. Fortunatamente anche in azienda è possibile fare formazione, ad esempio con corsi interni per colleghi più giovani su specifici temi. Percepisco ancora l’insegnamento come la cosa che mi riesce meglio, ma d’altra parte lo sapevo da sempre: “Be’, sì, che altro puoi fare con matematica?”